mercoledì 8 ottobre 2014

Joseph Sheridan Le Fanu, "Un Oscuro Scrutare"

Titolo: UN OSCURO SCRUTARE. IN A GLASS DARKLY (In a Glass Darkly)
Autore: JOSEPH SHERIDAN LE FANU
Anno: 1872
Edizione italiana: MIRAVIGLIA, 2011
Traduzione: LUCA MANINI, FABRIZIO FERRETTI
Copertina: MARZIA IANNUCCI
ISBN: 978-88-89993-15-6
Pagine: 464
Nel 2011, la Miraviglia Edizioni ha pubblicato Un oscuro scrutare, traduzione di In a Glass Darkly, la raccolta con cui nel 1872 Le Fanu propose per la prima volta in volume Carmilla. La pubblicazione è meritoria trattandosi della prima (e finora unica) edizione italiana integrale della raccolta (nonostante i racconti siano già comparsi singolarmente in varie antologie).
Tutti i racconti erano stati pubblicati precedentemente in rivista, ma raccogliendoli in volume Le Fanu li inserì nell’inedita cornice degli studi di Hesselius.

L’anonimo narratore e curatore è il segretario medico del defunto dottor Martin Hesselius, del quale sta riordinando i documenti per la pubblicazione. Tra i voluminosi appunti delle centinaia di casi trattati dal medico, il segretario ha scelto i cinque più significativi.

Tè verde (Green Tea): Durante un viaggio in Inghilterra, Hesselius conobbe il reverendo Jennings, gentile e riservato prelato di mezz’età, che gli confessò di essere ipocondriaco. Fu solo cinque settimane dopo che il reverendo raccontò a Hesselius la sua storia. Quattro anni prima, impegnato nella stesura di un libro sulla metafisica religiosa dei popoli antichi, per tenersi vigile durante il lavoro prese a consumare grosse quantità di tè verde. Una sera, rientrando a casa a tarda ora su un buio omnibus, scorse due riflessi rossastri e circolari. Avvicinandosi, scoprì che erano gli occhi di una scimmia completamente nera, ma priva di consistenza materiale e solo a lui visibile. Da allora, Jennings non riuscì più a liberarsi della scimmia, neanche durante la lettura dei testi sacri nelle funzioni. Secondo Hesselius, la persecuzione sovrannaturale fu dovuta proprio all’abuso del tè verde, che avrebbe facilitato il contatto con la realtà spirituale.
In questa storia l’autore ben rende il senso di impotenza e la disperazione prodotti dall’azione di uno «spirito infernale», una “peccaminosa” scimmia. Magistrale la chiusa medico-metafisica, in cui Hesselius dà una spiegazione convincente della malattia spirituale di Jennings, dovuta al deteriorarsi del “fluido” circolante tra cervello e nervi, e al conseguente aprirsi dell’«occhio interiore».



Il demone d’ogni giorno (The Familiar): Nel 1794, rientrato a Dublino, il Capitano della marina Sir James Barton s’innamorò della giovane e bella Miss Montague. Una sera, dopo una visita all’innamorata, il Capitano passò per una strada isolata e silenziosa, dove iniziò a sentire dei passi, come di qualcuno che lo seguisse. Si voltò, ma non vide anima viva. Riprese a camminare e i passi riprendevano dietro di lui, ma nessuno rispose alla sua voce. Nelle settimane seguenti, l’invisibile inseguitore lo tormentò più volte nelle sue passeggiate, arrivando a minacciarlo anche per lettera. Una volta si avvicinò al Capitano un uomo basso, con un cappello di pelliccia, che lo fissò con ostilità e aria di minaccia: Barton, che evidentemente lo riconobbe, ne rimase stravolto. Neanche l’intervento del Generale Montague, padre della fidanzata, riuscì a salvare Barton dalla vendetta di un uomo morto a causa delle sue azioni malvagie.
In questo racconto, rielaborazione del precedente The Watcher del 1851, è il senso di colpa a richiamare la meritata punizione (nonostante una ben costruita facciata di rispettabilità) e ad evocare l’intervento sovrannaturale. O meglio, probabilmente sovrannaturale: non a caso, Hesselius non si pronuncia.



Il Giudice Harbottle (Mr. Justice Harbottle): Un anziano creditore raccontò al corrispondente di Hesselius la storia di un fantasma che infestava una casa di Westminster: il «giudice impiccatore» Elijah Harbottle, che in vita ebbe fama di essere l’uomo più malvagio d’Inghilterra.
Nel 1746, Harbottle fu informato di una congiura giacobita contro i giudici e del pericolo che correva se avesse presieduto al processo al droghiere Lewis Pyneweck. Nessuno sapeva che Pyneweck era il marito separato di Flora Carwell, governante e amante di Harbottle. Il Giudice, quindi, non ebbe problemi a condannare l’uomo a morte. Qualche giorno dopo Harbottle fu informato del processo avviato contro di lui per aver falsificato le prove del caso e venne condotto in tribunale. In un viaggio surreale e spaventoso, il Giudice vide un suo defunto servitore, che aveva fatto arrestare per il presunto furto di un cucchiaio, e un enorme patibolo a tre bracci, con decine di impiccati, sopra il quale un boia sventolava una corda pronta per lui. In una tetra aula di tribunale, dove troneggiava il giudice capo Twofold, Harbottle fu accusato da Pyneweck e condannato a morte. Mentre due fabbri gli chiudevano attorno alla gamba un anello di ferro rovente, il Giudice si risvegliò nella sua casa in preda a un attacco di gotta. Ma sembra che il processo non fosse frutto della sua mente: il suo destino era segnato.
Insieme a Carmilla, Il Giudice Harbottle (anche questo rielaborazione di un precedente testo, ovvero An Account of Some Strange Disturbances in Aungier Street, del 1853) risulta il racconto più riuscito della raccolta. In un magistrale crescendo, Le Fanu vi tocca vette di puro orrore, in particolare nell’onirica, macabra visione della forca (la scena è ispirata a una nota incisione di Hogarth), del grottesco processo e delle torture sofferte da Harbottle. Il richiamo della realtà sensibile dell’attacco di gotta è un abile depistaggio per il lettore, che rimane sospeso nell’indecidibilità tra spiegazione razionale e aggressione spettrale. Quella dell’hanging judge è poi «un’efficace maschera», descritta con ironia pungente, che rimanda a storici oppressori e a un vero e proprio filone, inaugurato da Walter Scott e che vede Le Fanu tra i maggiori artefici (rimandiamo in proposito all’ampia trattazione di Franco Pezzini su Carmilla on line).



La stanza al Dragon Volant (The Room in the Dragon Volant): Nel 1815, nei giorni della caduta di Napoleone, dopo aver ereditato una piccola fortuna, il giovane inglese Richard Beckett si mise in viaggio per la Francia. Sulla trafficata via da Bruxelles a Parigi, il giovane prestò soccorso a una carrozza in difficoltà, invaghendosi della graziosa occupante nascosta da un velo nero. La sera, Beckett si fermò nella stessa locanda della dama, che riuscì a incontrare per pochi attimi, e strinse amicizia con il Marchese d’Harmonville. Questi gli rivelò che il nobile da lui soccorso era il Conte di St. Alyre, sposato a un’affascinante donna assai più giovane, che tormentava con la sua morbosa gelosia e della quale intendeva vendere i preziosi gioielli. Dopo aver salvato la Contessa e il marito dall’aggressione del colonnello Gaillarde, un ufficiale esaltato e un po’ matto, Beckett ebbe in dono una rosa bianca e una fugace parola d’amore.
Giunto a Parigi dopo un complicato viaggio, Beckett fu invitato dal Marchese a un sontuoso ballo in maschera a Versailles e condotto in una locanda fuori mano, Le Dragon Volant. Si diceva che il pittoresco e solitario edificio fosse infestato dagli spiriti e che vi fossero scomparse delle persone. Impegnato nel corteggiamento della Contessa, Beckett stava per diventare uno degli scomparsi, essendo stato preso di mira da un gruppo di truffatori senza scrupoli, e finendo, drogato e in catalessi, inchiodato in una cassa da morto.
In questo avventuroso (e non propriamente fantastico) romanzo breve lo stile si fa più brillante e scherzoso. Nella riuscita cornice di una Francia in rapido cambiamento, l’ingenuo sognatore Beckett affronta intrighi e misteri che si susseguono in una storia avvincente, nonostante la prevedibilità della trama. Comunque il capitolo finale della (quasi) sepoltura prematura del protagonista vale, da solo, la lettura (scena che riproporrà Dreyer nel suo Vampyr). Un orrore talmente grande da risultare inesprimibile l’esser sepolti vivi, come riconosce il protagonista: «Non proverò neanche a descrivere ciò che è impossibile descrivere, ossia le mille forme che assumeva l’orrore dei miei pensieri».



Carmilla (Carmilla): Vedi recensione del 27 ottobre 2013.

In a Glass Darkly mostra tutta la capacità narrativa ed evocativa di Le Fanu, impareggiabile maestro della ghost story in grado di trascinare il lettore d’oggi nel mondo vittoriano, per poi precipitarlo in realtà intangibili e spaventose. L’autore irlandese ambienta in maniera credibile le sue storie nella quotidianità ottocentesca, attualizzando il genere gotico; poi, con il comparire di uno specchio o di un infuocato tramonto, ecco fare irruzione il sovrannaturale, che risulta inspiegabile solo se non ricondotto a un reale mondo degli spiriti (una concezione esplicitamente swedenborghiana). D’altra parte, come riporta puntualmente Luca Manini nella prefazione, per la scelta del titolo In a Glass Darkly Le Fanu si rifaceva a un passo biblico, la prima lettera di san Paolo ai Corinzi: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa», in riferimento ai limiti della visione terrena, la quale non coglie che un’ombra della realtà. E attraverso le parole dei suoi personaggi e del «medico filosofo» Hesselius, primo detective dell’occulto della letteratura moderna, Le Fanu rivela l’esistenza di «un mondo spirituale, un sistema il cui operare ci è in genere pietosamente celato»: pietosamente perché si rivela per lo più «un sistema maligno, implacabile e onnipotente», di cui i protagonisti di questi racconti cadono vittime per certe peculiari abitudini e predisposizioni dell’animo. Personaggi che sono spesso animi solitari, ma che non si sottraggono alla società, di cui sono membri agiati e ben integrati, pur preferendo frequentare una ristretta cerchia di amici. Una buona società il cui perbenismo risulta spesso una facciata piena di crepe e, alla fine, fantasticamente smascherata.

Risorse Web:
Miraviglia Editore
Franco Pezzini, “Joseph Sheridan Le Fanu e le sorprese del tè verde”
Le Fanu su Carmilla on line
Le Fanu su Wikipedia
Le Fanu Studies
 

Nessun commento:

Posta un commento